Ultima tappa del tour post-elettorale alla ricerca delle ragioni della disfatta delle sinistre. Nella città siciliana, tra petrolchimico, privatizzazione dell'acqua e volontariato. Dove l'Arcobaleno è troppo «sindacale» e il Pd nelle mani degli ex notabili Dc «Vecchio» industrialismo e «nuovo» ambientalismo
Astrit Dakli
Siracusa.
Da mezzo secolo in qua, a meno di essere ciechi e contemporaneamente privi di olfatto, non si può arrivare a Siracusa dal nord senza la disturbante, apocalittica percezione della sua dimensione industriale. La ferrovia e le strade principali - quelle che congiungono l'ex centro politico e culturale più importante della Magna Grecia e dunque del Mediterraneo con Palermo, Catania, Messina e il resto d'Italia - passano tutte all'interno o a fianco del «polo petrolchimico», il più grande d'Europa; la visione, per chilometri e chilometri, delle torri di raffinazione, dei serbatoi, degli impianti di cracking, delle altissime «candele» fiammeggianti, accompagnata alla pesante puzza di idrocarburi, ai fumi, ai grovigli di tubi sgocciolanti, rende chiaro a chiunque quanto Siracusa abbia perso, nei venticinque secoli intercorsi fra il dominio del tiranno Dionigi I e quello di Stefania Prestigiacomo, ultima «dea protettrice» della città - anche se non responsabile dei suoi mali peggiori.
Inquinamento dell'aria, dell'acqua e dei terreni, malattie respiratorie, malformazioni neonatali e mortalità sopra ogni media sono state il frutto di quella scelta drammatica di allineare lungo una delle spiagge più belle del Mediterraneo la Sincat, la Rasiom, l'Enichem, la Espesi, la Icam, la Isab, la Sasol, la Erg e chi più ne ha più ne metta, fino all'ultima e più grande di tutte, la russa Lukoil, sbarcata a Siracusa questa primavera comprando metà della Erg e mettendo le basi per un'ulteriore espansione dei volumi raffinati. Ma, dall'altra parte, quella scelta ha anche creato migliaia di posti di lavoro in un'area poverissima, aumentato il reddito, fatto nascere una cultura industriale, operaia, sindacale e politica (non si dimentichino i «fatti di Avola», pochi chilometri da Siracusa, con due uccisi e 48 feriti durante una manifestazione sindacale nel '68, e poi la lotta contro gli euromissili nella vicina Comiso) che in Sicilia quasi non esisteva - e che ora sta tornando a non esistere anche a Siracusa.
«La maggior parte dei dirigenti della sinistra qui si sono formati con quella cultura, legata alla presenza del petrolchimico - racconta Ermanno Adorno, 50 anni di politica cittadina fra Psi, Psiup, Dp, Rifondazione, oppure in solitudine - e sono rimasti via via sempre più incapaci di capire che il mondo intorno a loro cambiava. A Siracusa la sinistra politica è sempre stata una sorta di emanazione del sindacato, che ha prodotto quadri e amministratori: ma oggi quel tipo di cultura non basta più. Gli operai del petrolchimico erano 35mila, oggi non arrivano a 7mila». I partitini della sinistra radicale, che hanno raccolto un po' l'eredità del vecchio Pci (i tre dell'Arcobaleno, prima del disastro elettorale di quest'anno, avevano quasi il 9 per cento nelle politiche) «si sono ormai chiusi in se stessi e hanno sempre meno rapporti con i cittadini; quanto al Pd, ha finito per incorporare gran parte della classe dirigente democristiana di una volta, assumendone la mentalità e i metodi. E il trasformismo regna sempre sovrano, contagiando un po' tutti, compresi gli uomini di sinistra: che una volta arrivati ad avere un briciolo di potere, come consiglieri o assessori, perdono la testa e diventano disposti a tutto per autoperpetuarsi...». L'esempio più clamoroso è quello di Rino Piscitello, figlio di uno storico deputato comunista (tra i protagonisti dei fatti di Avola, tra l'altro) e lui stesso già esponente della sinistra più radicale, approdato il mese scorso, dopo molti slittamenti (Pci, Dp, Rete, Margherita, Pd) nelle file della Lega Sud, il Mpa di Raffaele Lombardo.
Elettori delusi e senza alternative
L'amarezza di Adorno è largamente condivisa in quel che resta della sinistra siracusana, che le amministrative di metà giugno hanno finito di smantellare: tra provincia e comune soltanto un consigliere eletto, Ettore Di Giovanni - e solo in virtù del suo esser personaggio «storico», da molti anni in comune come capogruppo diessino e di conseguenza oggetto di molte preferenze personali. Alla provincia, dove c'era una giunta di centrosinistra con ben quattro assessori facenti capo all'area Arcobaleno, ora non c'è neanche un consigliere. «E non si può nemmeno parlare di effetto "voto utile", perché erano elezioni solo amministrative e venivano dopo che era già ben chiaro quel che era successo nazionalmente col voto di aprile», commenta Roberto Fai, che insegna filosofia del diritto e si colloca un po' in bilico a sinistra del Pd. «La verità è che gran parte degli elettori di sinistra si sono rifugiati nell'astensionismo e basta, non in un progetto di alternativa. Credo che questo sia un effetto dello sradicamento dei dirigenti della sinistra dal territorio - tutti i migliori, da diversi anni, hanno preferito carriere "romane" all'impegno nella loro città, e tutti i candidati locali qui sono stati catapultati dall'alto. Poi, quando l'Arcobaleno ha perso la sua rappresentanza nelle istituzioni - e nelle tv - nazionali, qui è scomparso del tutto dalla campagna elettorale per le amministrative, come se non esistesse affatto». E non è l'unico problema: ce ne sono anche di più strutturali, come il fatto che «mancano dei volti nuovi, nella sinistra alternativa, mancano delle figure di 30-40enni competenti e dinamici; ci sono sempre le stesse facce, gente in gamba e stimabile ma legata a periodi ormai passati».
Ci sono poi le critiche più esplicitamente politiche: come quelle che avanza Marina De Michele, insegnante di liceo con una lunga passione per il giornalismo d'inchiesta sul territorio, che esercita sul settimanale Il Ponte, una pessima esperienza di politica attiva nei Ds, un avvicinamento più recente al Pdci, dove «c'è un ambiente migliore e più solidarietà, anche se poi al fondo la mentalità e il costume politico non sono tanto diversi dagli altri: la politica è vista come mezzo per "piazzare" meglio se stessi e i propri amici e familiari». Marina cita due esempi per spiegare perché la sinistra siracusana ha perso presa tra i cittadini. Il primo è la vicenda dell'acqua: la Provincia - fino a giugno gestita dal centrosinistra - ha voluto a tutti i costi affidare la gestione delle risorse idriche, dopo una gara d'appalto molto discutibile e infatti andata deserta, a una società formalmente a controllo pubblico, ma che in realtà attraverso un allargamento di capitale è diventata de facto a maggioranza privata. «Su questa vicenda c'è stata una battaglia di ambientalisti e cittadini, in cui il Pd, vabbe', era proprio apertamente favorevole alla privatizzazione, mentre Pdci e Rifondazione si sono in pratica tenuti fuori». E il secondo esempio è ancor più clamoroso, la vicenda del costruendo porto turistico: «Una follia da decine e decine di migliaia di metri quadri che verranno sottratti al mare, proprio sul waterfront cittadino, per creare centinaia di posti barca e banchine d'approdo per navi da crociera. E' un vecchio progetto, ormai più che ventennale, che negli ultimi tempi ha ripreso forza, tutto in mano a Caltagirone, nonostante l'evidenza dei danni ambientali che ne deriverebbero e nonostante la chiara irregolarità delle procedure; sono già in corso vaste operazioni di speculazione edilizia connesse con il progetto - guardacaso, pare che vari edifici fatiscenti nelle adiacenze del futuro porto, siano stati comprati dal notaio Angelo Bellucci (marito del ministro Prestigiacomo, ndr). Bene, su tutto ciò sembra che il centrosinistra, in blocco, non abbia niente da dire. Chi si oppone davvero, alla fine, sono solo le organizzazioni ambientaliste e qualche comitato di cittadini».
Come è sempre stato, del resto: non a caso il terreno maggiore di battaglia politica in città è da mezzo secolo quello urbanistico-ambientale, e i nomi oggi impegnati sono in fondo gli stessi che furono protagonisti già negli anni '70 e '80, da Carmelo Maiorca (con il suo foglio satirico L'isola dei cani, ma anche con una serie di articoli-inchiesta per il manifesto e altre testate) a Giuseppe Ansaldi (fondatore di Legambiente a Siracusa), all'avvocato Corrado Giuliano, testardo denunciatore di ogni abuso edilizio e ambientale. Già allora il porto turistico era uno dei nodi principali della sfida all'establishment economico-politico (largamente democristiano), insieme alla questione della salvaguardia e del recupero del centro storico, sull'isola di Ortigia; e già allora i partiti di sinistra, legati a concezioni industrialiste, seguivano solo distrattamente questi temi. Trovandosi peraltro spesso in diretto contrasto con l'ambientalismo quando si arrivava al nodo più duro, quello del polo petrolchimico e del rapporto tra lavoro e salute, tra sviluppo e ambiente.
Fatto sta che a questo punto, con il trionfo elettorale della destra, il passaggio del Pd sotto l'evidente egemonia di notabili ex democristiani, la distruzione di tutte le rappresentanze istituzionali della sinistra alternativa, il panorama politico siracusano si ritrova più chiuso e desolante che mai. Oltre a tutto - e più grave di tutto - in presenza di un serio peggioramento del clima civile. «A me pare che stia allargandosi sempre più una sorta di "cultura dell'illegalità" - dice Carmelo Maiorca - che raggiunge un po' tutti e contro cui è difficile lottare. E' la penetrazione della mafia e della mala catanese, ma è anche un contagio generale, lo si vede dalle piccole cose, la pesca illegale smerciata tranquillamente al mercato, il disinteresse e l'insofferenza per le regole, il fatto che siano stati eletti come niente fosse, nei consigli di circoscrizione, personaggi esplicitamente malavitosi...».
Serve una strategia di «resilienza»
Ben poche le vie percorribili che si intravedono: principalmente, quella dell'impegno sociale diretto, del volontariato, con tutti i limiti che questo comporta. «Occorre ormai una strategia di "resilienza" - dice l'antropologa Marilia Di Giovanni, impegnata tra l'altro in un progetto di casa-rifugio per donne che hanno subito violenza - cioè affinare la capacità di superare i traumi esterni senza spezzarsi, adattandosi alle nuove condizioni. Non dobbiamo chiuderci in gruppi e circoli chiusi, non comunicanti, come oggi sono i partiti. Dobbiamo invece tener vive reti, comitati, associazioni civiche, tutte le attività che lasciano dei semi tra la gente; e non è facile. Adesso perfino istituzioni come la Bottega solidale stanno diventando come "private", gestite con l'idea che tutto deve restare in mano a un gruppo chiuso, come un micropartito. Così non andiamo da nessuna parte...».
Fonte: il manifesto del 27 Luglio 2008