mercoledì 2 gennaio 2008

Brescia - Diossina nel latte della Centrale

domenica 16 dicembre 2007

(red.) Una partita di latte inquinato dalla presenza di diossina superiore ai limiti consentiti dalla legge è stata individuata dai controlli effettuati prima della lavorazione nella Centrale comunale del latte di Brescia. Il prodotto era stato consegnato da tre aziende agricole dell’hinterland cittadino. La società ha avvisato i servizi medico-veterinari dell’Asl e l’Istituto zooprofilattico di via Bianchi. La spiacevole sorpresa è saltata fuori durante i controlli organolettici che il laboratorio interno della Centrale effettua sul latte ritirato nelle fattorie, che hanno fatto scoprire una concentrazione di “pop” (clorurati organici persistenti) oltre la soglia consentita. I limiti alla presenza di diossine che la legge prevede per il latte (entrati in vigore a novembre), mettono insieme per la prima volta diossine e Pcb. In ogni millilitro di prodotto, possono essere presenti al massimo 3 picogrammi (miliardesimi di milligrammo) di diossina e 3 picogrammi di Pcb e il totale non deve comunque superare i 6 picogrammi. Nella partita di latte contaminato scoperta l’altro giorno, invece, il livello era intorno ai 6,5 picogrammi. Le autorità hanno quindi bloccato l’attività nelle tre aziende agricole (una è in via Colombaie al villaggio Violino, un’altra è la Pastori di viale Bornata e la terza un’azienda di Flero), che insieme allevano circa 150 mucche da latte. Il prodotto contaminato frutto della mungitura quotiana degli animali, verrà smaltito in un impianto specializzato. Ma l’Asl ha posto sotto stretto controllo anche altre sette aziende agricole nei dintorni ed ha avviato le analisi dei terreni per controllare se vengono superati i limiti di legge nella presenza di diossine: 0,75 nanogrammi per chilogrammo sull’erba e di 10 nanogrammi per chilo nel terreno. L’ipotesi è infatti che la sostanza inquinante si trovasse nel foraggio che è stato dato alle mucche. Anche perché l’inquinamento, figlio della società malata in cui viviamo, è talmente diffuso attorno alle città che fare agricoltura o allevare animali nell’hinterland di Brescia è ormai un’attività ad altissimo rischio.

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Brescia - Diossina, è la punta dell’iceberg

martedì 18 dicembre 2007

La parola d’ordine è, come al solito in questi casi, quella di minimizzare, tranquillizzare e gettare acqua sul fuoco. Le autorità non vogliono che i cittadini di Brescia si spaventino e smettano di comprare frutta, verdura e latte dalle aziende agricole che circondano il centro urbano. Non vogliono neppure che smettano di acquistare fiduciosi i prodotti della Centrale del latte, azienda controllata dal municipio che, dopo alcune costose scelte di marketing degli anni passati (la linea di negozi, l’impianto per il latte microfiltrato, eccetera), non può certo permettersi di perdere il feeling con i consumatori della città in cui gioca in casa. Ma guardiamo i dati ufficiali che filtrano dalla comprensibile cortina di riserbo che copre in parte questa vicenda. Tre aziende agricole, tra cui la mitica Pastori di viale Bornata (le altre due sono a Flero e al villaggio Violino), si sono viste respingere il latte dalla Centrale per eccesso di diossine e dal 7 dicembre (visto che le incolpevoli 150 vacche coinvolte vanno comunque munte ogni giorno) portano il prezioso liquido alla distruzione (leggi la notizia). Altre sette aziende agricole dell’hinterland Sud tra San Zeno e Roncadelle sono sotto stretta osservazione, perché nel loro latte s’è trovata diossina, anche se non in quantità vietate dalla legge. Ringraziamo la legge, che ci permette di bere un po’ di diossina con il latte e di mangiarla con gli ortaggi, le carni e il pesce, ma non troppa. Un po’ di veleno va bene, ma a patto di non esagerare. Il limite alla presenza di pcb e diossine nel latte è fissato in 6 picogrammi (miliardesimi di milligrammo) per millilitro, mentre quello trovato nel prodotto sequestrato era tra i 6,2 e i 6,5 picogrammi per millilitro. Intanto, altro dato ufficiale, della vicenda è stata informata la Procura della Repubblica di Brescia, e l’Asl sta compiendo analisi anche sullo yogurt e il mascarpone prodotti con il latte della Centrale cittadina. Si aspetta giovedì, quando dall’Istituto zooprofilattico arriveranno i risultati di analisi più approfondite. Ma c’è davvero bisogno di aspettare per sapere quello che è sotto gli occhi di tutti? La diossina si forma in ogni combustione in cui è presente anche cloro (per esempio bruciare la plastica, fondere metalli con vernici e così via) ed è una sostanza molto stabile: ci vogliono decine di anni perchè scompaia dai terreni contaminati. Nel tessuto adiposo della gente, poi, rimane per sempre. Dalle ciminiere passa al terreno, da qui all’erba, dal foraggio al grasso delle mucche e al loro latte, dagli animali arriva all’uomo. La sua caratteristica peggiore è che ad ogni passaggio della catena alimentare si concentra sempre di più. La diossina, riconosciuta come elemento cancrogeno dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul cancro, è quindi intorno e dentro di noi. Perfino, come è provato, nel latte materno. Guardiamoci attorno, lasciando pure perdere l’area a sud della Caffaro dove il Pcb scorre letteralmente a fiumi, e contiamo le decine di ciminiere che circondano Brescia. Dispiace per gli incolpevoli allevatori dell’hinterland, dispiace per i bilanci della Centrale del latte, ma non c’è bisogno di aspettare altre analisi per capire che evidentemente esiste un enorme problema di qualità dell’approvvigionamento, dovuto alla degenerazione dell’ambiente della nostra città assediata dai veleni. Che cosa fare allora? Poco, ma qualcosa è possibile: prima di tutto aumentare i controlli. Essendo Brescia evidentemente una zona a rischio, siamo in piena emergenza ambientale. L’Arpa, l’azienda regionale alla quale sono demandate le verifiche, dovrebbe incrementare il numero delle centraline di monitoraggio ed effettuare controlli a sorpresa. Stesso discorso per gli alimenti da parte dell’Asl. E poi bisogna usare tutti gli strumenti previsti dalla legge per reprimere e colpire gli inquinatori. Anche quando sono in gioco i posti di lavoro, perché la salute pubblica deve venire prima di tutto.

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Brescia - Latte al Pcb: è vera emergenza

venerdì 28 dicembre 2007

(red.) Il latte prodotto da altre due stalle che operano nella zona a Sud della città è risultato positivo al Pcb in base agli esami interni effettuati sul prodotto conferito alla Centrale comunale del latte di Brescia. Si tratta delle aziende agricole Civettini e Zubani, due allevamenti situati nel comune di San Zeno. Dopo il caso di tre aziende agricole il cui prodotto è stato bloccato il 7 dicembre scorso (una di Flero, la Bettinzoli del Violino e la Pastori di viale Bornata, leggi qui), quella legata al latte contaminato dai veleni si sta dimostrando una vera e propria emergenza ambientale per la città di Brescia e per i suoi immediati dintorni (leggi il commento). Anche se bisogna segnalare che, alle controanalisi, l’allevamento Ancelotti di Flero è risultato sotto la soglia stabilita dalla legge.

Il limite massimo previsto per la presenza di Pcb e diossine nel latte è di 6 picogrammi (miliardesimi di milligrammo) per millilitro. Nel prodotto dei due allevamenti di San Zeno Naviglio ne sono stati rilevati quantitativi in un caso pari a 6,5 picogrammi e nell’altro superiori agli 8 picogrammi. Da qui il blocco deciso dall’Asl che, dopo il ritrovamento di valori elevati di Pcb nei foraggi e nel latte di una stalla delle Fornaci, fin dallo scorso settembre aveva ordinato esami dettagliati sul latte munto anche in altre stalle dei dintorni. Peraltro l’Azienda sanitaria bresciana sa benissimo che la città è circondata dai veleni. Dai campionamenti effettuati nel 1994, nel 1996 e nel 1998 risulta che in diverse aree dell’hinterland (come al Villaggio Violino, zona sud occidentale) la quantità di Pcb per chilo di terra è molto elevata: anche fino a 30 microgrammi per chilo contro un limite di 10 nanogrammi. E’ quindi presumibile che i foraggi coltivati su quei terreni possano essere contaminati: il massimo previsto dalla legge è di 0,75 nanogrammi di Pcb per chilogrammo d’erba. Dal foraggio con diossina al latte inquinato il passo è breve e praticamente scontato.

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Brescia - Pcb: inquinati 500 ettari di città

venerdì 28 dicembre 2007

(red.) E’ ormai enorme la fetta di città contaminata da diossine e Pcb che viene quindi sottoposta a una serie di ordinanze restrittive emesse oggi dal comune di Brescia. Il sito d’interesse nazionale Caffaro si estende da via Milano verso sud-ovest, ma ora la zona tutelata si è allargata fino a raggiungere i confini del comune Castel Mella. Nella pratica, l’area posta sotto la tutela del ministero dell’Ambiente per le elevatissime concentrazioni di Pcb è rimasta la stessa. Nella sostanza, però, il comune di Brescia ha ritenuto opportuno estendere una serie di divieti anche ad un’altra porzione di città, visto che gli inquinanti, attraverso le rogge idriche, sono stati trasportati e si sono sparsi per centinaia di ettari. Dunque il tratto di Brescia che da sud di via Milano raggiunge i confini di Castel Mella; e che da via Industriale, via Dalmazia, via Labirinto e via Fornaci arriva fino agli argini del fiume Mella diventa un’unica zona omogenea considerata altamente e pericolosamente inquinata, estesa per circa 500 ettari. Visto che 1 ettaro equivale a 10 mila metri quadrati, stiamo parlando di un’area di circa 5 milioni di metri quadrati, cioè 5 chilometri quadrati dove abitano 10 mila persone. Per capirci, la città del Vaticano è grande circa 44 ettari. Il comune di Brescia è in tutto pari a 90,6 chilometri quadrati. Fino al 30 giugno 2008, in tutta quest’area a sud dell’industria chimica Caffaro contaminata da Pcb e diossine vengono prorogati i divieti già contenuti in precedenti ordinanze emesse nel 2002, 2004 e giugno 2007. Sarà vietato l’utilizzo del terreno, quindi nessuna coltivazione, ma neppure l’aratura e il dissodamento, l’asportazione, lo scavo o qualsiasi altra operazione che comporti il contatto diretto con la terra o l’inalamento delle polveri da essa provenienti. Viene vietato anche l’utilizzo dell’acqua fluente nelle rogge, la curagione dell’alveo dei fossati e, ovviamente, la pesca dai corsi d’acqua. Ma non è finita qui, perchè non sarà possibile nemmeno allevare animali da cortile destinati all’alimentazione umana (sono vietate anche le uova), così come non sarà permesso coltivare ortaggi. E’ concessa una deroga, in quest’ambito, nei terreni agricoli situati nella zona di via Labirinto e via Fornaci. Qui, infatti, sarà concessa in via sperimentale la coltivazione di frumento, mais, orzo e graminacee per la produzione di sola granella, a patto che prima di qualsiasi uso il raccolto venga sottoposto ad analisi chimica con ricerca di Pcb e diossine, volta a confermare l’assenza di contaminazione. Come noto, dopo il via libera ministeriale e la messa in mora della Caffaro (leggi qui), partirà nel marzo 2008 la bonifica dei 17 mila metri quadrati di terreno del parco Passo Gavia e del giardino di via Nullo, inoltre si interverrà su 26 giardini privati del quartiere Primo Maggio (finora ne sono stati messi in sicurezza tre). Il Comune su tre lotti da 5 ettari di terreni agricoli del sito nazionale Caffaro sperimenterà la bioremediation, una tecnica che usa batteri in grado di aggredire e digerire le sostanze inquinanti. Sul resto saranno piantati alberi ed erba sperando che in parte assorbano Pcb e diossine.

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Brescia - Pcb, è ora di intervenire davvero

venerdì 28 dicembre 2007

(red.) Castenedolo, Flero, San Zeno, Castel Mella, Roncadelle. Citiamo questi cinque comuni tra i tanti che fanno parte della cosiddetta “prima corona”, composta dalle località immediatamente confinanti con Brescia, perché sono quelli situati a Sud. E’ a Sud della città infatti che - stando a quanto risulta per il momento - si trova la maggiore concentrazione di Pcb e diossine sparsa negli anni sul nostro territorio dalle ciminiere, oppure messa in circolo dagli scarichi industriali come nella zona Caffaro e portata in giro dalle rogge usate (pensate!) per l’irrigazione dei campi. E’ a Sud della città che hanno resistito più a lungo le estensioni di terreni agricoli: da lì arrivavano il nostro latte, la nostra carne, le uova e i polli “nostrani” che finivano sulle tavole dei bresciani. Da lì arriva, quindi, il veleno che per anni abbiamo inconsapevolmente ingerito. Strano che agli amministratori che governano questi cinque comuni non venga un dubbio, che non gli sorga spontaneo un interrogativo, che non gli si accenda un segnale d’allarme. Sicuramente è già avvenuto, ma se non è successo vogliamo metterglielo noi allora un piccolo tarlo nella testa. Signori, pensate davvero che il vostro comune sia immune dai veleni? Ve lo diciamo noi: no, non è possibile, perché il Pcb non si è fermato ai confini municipali della città capoluogo, ma sicuramente è sceso ben oltre. Ecco perché anche voi dovete coordinarvi e intervenire. Non fate come quegli amministratori che prima parlano di emergenza, (ma “senza allarmismi”, naturalmente) e poi allargano sconsolati le braccia: che cosa volete farci, dicono, sono gli effetti di anni e anni di industrializzazione. Già, che cosa vogliamo farci più che morire precocemente di infarto o di tumore? Più che respirare a fatica e farci venire il fiato corto dopo dieci passi? Più che vedere i nostri bambini tossire sempre di più ad ogni inverno e deperire troppo presto? E’ vero che è troppo tardi, ma forse qualcosa si può ancora fare. Prima di tutto evitare il rimpallo delle responsabilità. E poi andare oltre le (sacrosante) ordinanze che bloccano le attività nella aree pericolose. Un comune (e una provincia) ad alto rischio d’inquinamento, per esempio, se fossero seri prenderebbero in mano la situazione e non demanderebbero le verifiche soltanto all’Arpa, l’agenzia regionale per l’ambiente deputata a sorvegliare aria, terra e acqua. E neppure all’Asl, che deve controllare i cibi e la salute delle persone. Un comune (e una provincia) ad alto rischio d’inquinamento se fossero seri, sapendo che si tratta di un’emergenza terribile per i loro amministrati e in generale per la salute pubblica, vorrebbero vederci molto più chiaro e molto più in fretta. E allora perché nascondersi dietro le lentezze o le responsabilità altrui, sapendo benissimo che l’Arpa e l’Asl mancano di fondi, che a volte hanno tempi di reazione biblici e che comunque sono organismi competenti ma burocratici? E’ vero, le analisi e le verifiche costano, ma noi pensiamo - per esempio - che i nostri enti locali abbiano i bilanci sani e possano permettersi di installare una manciata di centraline sul proprio territorio o di creare una squadra per fare i prelievi nei posti giusti e poi farli analizzare a pagamento in qualche laboratorio privato. Conoscere bene la realtà è la prima cosa da fare per poi capire come affrontarla e aiuta anche a trovare i responsabili della devastazione ambientale. Perché con i dati in mano è possibile attivare la magistratura. Secondo noi, se un comune (e una provincia) ad alto rischio d’inquinamento non lo fanno, vuol dire che non vogliono farlo. E allora qualcuno dovrebbe spiegarci perché.

Fonte:www.quiBrescia.it

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Dire non basta, poiché le parole che non si traducono in azione " sono portatrici di pestilenza"
William Blake