domenica 27 gennaio 2008

Umberto Veronesi a "Che tempo che fa".

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Che impatto hanno gli inceneritori sulla salute umana?” domanda Fabio Fazio. “Zero” risponde Umberto Veronesi. Sembra una barzelletta, ma non è così.
E successo domenica 20 gennaio durante la trasmissione, in prima serata , “Che tempo che fa”.
Per commentare questa, avventata, affermazione non possiamo fare altro che lasciare la parola al Dottor Montanari, grande studioso delle “famigerate” nanoparticelle, ascoltando questa sua intervista.
P.s.
Se tra tumori e inceneritori non c’è nessuna relazione, secondo il dottor Veronesi, vorrei sapere invece che relazione c’è tra la Fondazione Veronesi e alcuni dei suoi sponsor qui di seguito elencati:
ACEA - (multiutility con inceneritori) PIRELLI - (petrolio, centrali ad olio combustibile) ENEL - (Centrali a Carbone ed oli pesanti e nucleare)
VEOLIA – (Importantissima multinazionale francese che costruisce tra l’altro discariche ed inceneritori di rifiuti e detiene il 49% della società Tecnoborgo Spa di Piacenza che gestisce l’inceneritore di questa provincia)

martedì 15 gennaio 2008

Terni, il pm chiude l’inceneritore produceva veleni killer

TERNI - Indicano l’inceneritore come un animale da cui guardarsi, accucciato in una conca dove l’aria stagna anche nei giorni di tramontana, in via Ratini, un budello sterrato tra le ciminiere e i silos della zona industriale del Sabbione. E lo fanno a maggior ragione ora, che l’animale tace della sua rugginosa ferraglia. Che i suoi due camini non esalano più bave di fumo. Un nastro bianco e rosso e una macchina del corpo forestale dello Stato tengono lontani i curiosi (che non ci sono) e gli operai, che qui non metteranno più piede. A lungo. Affissi al cancello di ingresso, due fogli dattiloscritti dell’Agenzia Speciale Multiservizi (Asm) datati 14 gennaio avvisano “il personale degli impianti di termovalorizzazione, selezione e trasferenza che, per cause di forza maggiore, gli stessi non sono accessibili e pertanto tutto il personale è posto provvisoriamente in libertà fino a nuova disposizione”. Comunicano che 32 operai, entro le prossime 48 ore, “dovranno recarsi presso lo studio medico del dottor Barconi, in via Pacinotti, per sottoporsi ad esame radiologico”. La città già sa dal primo mattino. La Procura della Repubblica ha disposto il sequestro dell’impianto con un provvedimento che racconta una storia lugubre, un “disastro ambientale” nella civile, ordinata e pulita Umbria. Che vale nove informazioni di garanzia e accusa il sindaco di una giunta di centro-sinistra eletta al secondo mandato con il 70 per cento dei suffragi di aver avvelenato la propria gente. L’aria che respira, la terra che calpesta, il fiume di cui va fiera, il Nera. Vecchio di trentadue anni, l’inceneritore ha ruminato e bruciato sino al dicembre scorso (quando ne era stato disposto dal comune un fermo temporaneo per lavori di manutenzione straordinaria) oltre il 50 per cento dei rifiuti urbani della città e della sua intera provincia producendo, sin quando è economicamente convenuto, energia elettrica (5 megawatt l’ora). Ma in uno scambio diabolico, a leggere le sette pagine con cui il pubblico ministero Elisabetta Massini avvisa gli indagati dello scempio di cui li ritiene responsabili. Perché la pulizia della città ne avrebbe significato di fatto la lenta e silenziosa intossicazione. A cominciare dal 2003 e fino a qualche settimana fa. I liquami dell’inceneritore - scrive il magistrato - venivano scaricati nel Nera in disprezzo dei limiti di concentrazione fissati dalla legge per il mercurio, per i residui dei cosiddetti metalli pesanti (selenio, cadmio, cromo totale, nichel, piombo, manganese, rame, zinco). E i responsabili dell’Asm (la municipalizzata che controlla l’impianto) ne sarebbero stati a tal punto consapevoli da tentare di “diluirli” nel tempo “aggiungendo acque di raffreddamento provenienti dalle torri dell’impianto”. I forni bruciavano senza autorizzazione, anche ciò che non avrebbero potuto - si legge ancora - lasciando che le ciminiere alitassero nell’aria “acido cloridrico” e “diossine”, liberate da una “combustione” tenuta al disotto dei limiti (850 gradi) e dissimulata da false attestazioni dei cicli di lavorazione. Ancora: avrebbero bruciato anche rifiuti radioattivi. Come dimostrerebbero cinque “incidenti” registrati lo scorso anno. Il 16 marzo 2007 - scrive il pubblico ministero - viene dato ingresso nell’impianto a legno e carta provenienti da Monza e risultati radioattivi. Il 27 giugno, una nuova “positività”. Anche se questa volta i rifiuti sono ospedalieri. Arrivano da dietro l’angolo. Dal “Santa Maria di Terni”. E non sembra un’eccezione. Perché il 4, il 9 e il 24 ottobre sono ancora “rifiuti sanitari” a far muovere gli aghi dei rilevatori di radiazioni. Va da sé - accusa il pubblico ministero - che agli operai che lavorano nella pancia dell’inceneritore venga taciuto in quale crogiolo di veleni siano immersi. A quale sorgente cancerogena siano esposti, “nonostante, già nel 2002, uno studio commissionato dalla stessa Asm avesse accertato come ragionevolmente prevedibile il rischio di contaminazione”. Nell’impianto nessuno sembra preoccuparsene. Peggio: nel reparto di “trasferenza”, dove i rifiuti vengono separati e compattati, i filtri sono a tal punto ostruiti che “gli operai, per poter respirare, sono costretti a tenere aperte porte e finestre dei locali, provocando continue immissioni nell’aria di polveri nocive, da carta, nylon e altri rifiuti leggeri”. Paolo Raffaelli, il sindaco, parla con un nodo alla gola. Alle tre del pomeriggio, di fronte al magnifico palazzo Spada, la casa municipale, attraversando una piazza che brilla come uno specchio, c’è chi lo ferma e lo abbraccia scoppiando in lacrime. È stato nel Pci e nei Ds. Sarà nel Partito democratico. È stato fino al ‘99 parlamentare. È un uomo intelligente e non gli sfugge cosa significhi l’avviso di garanzia che ha ricevuto qualche ora prima insieme all’intero vertice della municipalizzata che gestisce l’inceneritore (il presidente dell’Asm Giacomo Porrazzini, anche lui ex parlamentare europeo dei Ds; i consiglieri di amministrazione Stefano Tirinzi, Antonio Iannotti, Attilio Amadio, Francesco Olivieri; il direttore generale Moreno Onori; i delegati per i servizi di igiene e prevenzione Giovanni Di Fabrizio e Mauro Latini). Dice: “Stavo già passando settimane umanamente terribili per la Thyssen, che qui ha il suo stabilimento madre. E non sarei sincero se ora sostenessi che sui rifiuti sono tranquillo perché nel merito di questa vicenda ritengo che, nel tempo, siano state fornite alla magistratura tutte le controdeduzioni tecniche necessarie a far cadere gli addebiti gravi e direi pure infamanti che ci vengono mossi. La verità è che questo sequestro non solo sporca la mia immagine politica, ma fa riprecipitare in tutto il Paese e nella sinistra la discussione sullo smaltimento dei rifiuti a un’antica e improduttiva guerra di religione: “inceneritore si”, “inceneritore no”. A Napoli, Bassolino e la Iervolino sono stati “impiccati” per non averlo ancora costruito. Io, da tempo, vengo “impiccato” dalla destra e da settori dell’ambientalismo per averlo fatto funzionare in un quadro integrato di raccolta differenziata, termovalorizzazione, uso delle discariche, sviluppo di nuove tecniche di bioriduzione. Una cosa sola è certa. Questo sequestro non riuscirà a sporcare la città, anche perché, sensibilizzata dal prefetto, la magistratura ha compreso che per evitare che Terni sia sommersa di rifiuti nel giro di quattro giorni, almeno i reparti di raccolta dei rifiuti dell’impianto possano continuare a funzionare come snodo di smistamento”. A un costo, però. Che apre un nuovo capitolo dell’emergenza trecento chilometri a nord della linea del Garigliano. Da questa mattina, tutti i rifiuti urbani di Terni e della sua provincia saranno avviati “tal quali” (così si definisce in gergo l’immondizia non separata) nelle “crete” di Orvieto, la discarica che, sino ad oggi, ha raccolto solo il 20 per cento degli scarichi del ternano. Il cielo umbro respira. La sua terra comincia a gonfiarsi. Al veleno non sembra esserci rimedio. Neppure qui. Tra ulivi e colline smeraldo che il mondo ci invidia. (15 gennaio 2008) Fonte: www.repubblica.it

domenica 13 gennaio 2008

NOCOKE: DENUNCIATO IL MINISTRO BERSANI

Tarquinia, 22 ottobre 2007 I cittadini che si battono contro la riconversione a carbone della centrale di Torre Valdaliga Nord di Civitavecchia, dopo lo sciopero della fame, hanno deciso di mettere nelle mani della giustizia la loro richiesta di riapertura della conferenza dei servizi. Il Movimento No Coke, dopo il lungo percorso che ha visto tutto il territorio interessato dalla riconversione di TVN dichiararsi contro l’uso del carbone, torna alla riscossa e denuncia penalmente il Ministro Bersani, colpevole di non aver dato seguito alle richieste delle istituzioni territoriali e dei Ministeri della salute e dell’Ambiente di riaprire la conferenza dei servizi relativa all’autorizzazione concessa per la riconversione a carbone della centrale di Civitavecchia. Da domani il Movimento sarà di nuovo in piazza per chiedere ai cittadini le firme di sostegno alla denuncia presentata. I motivi della contrarietà all’uso del carbone sono ormai condivisi da tutti, l’unico che non vuole riconoscere neanche le evidenze scientifiche sulla correlazione tra combustione del carbone e cambiamenti climatici è solo il Ministro delle attività produttive Pierluigi Bersani. Nel mese di aprile, infatti, i cittadini che hanno aderito allo sciopero della fame hanno trovato in tutti livelli istituzionali la compattezza del no al carbone: 20 comuni del comprensorio, le Provincie di Roma e Viterbo, la Regione Lazio, il Ministero dell’Ambiente e il Ministero della Salute hanno dato sostegno, e fatta propria, la richiesta di riapertura della conferenza dei servizi per TVN, unico strumento per avviare, di fatto, la riapertura della Valutazione d’Impatto Ambientale che tenga conto dell’impatto complessivo degli inquinanti su tutto il territorio dell’Alto Lazio. Inoltre, né il decreto autorizzativo, né la V.I.A propedeutica a quest’ultimo, hanno mai preso in considerazione l’impatto sul territorio e sulla salute della zone circostanti; non hanno valutato le ricadute degli inquinanti sull’agricoltura e sul mare; non hanno preso in considerazione l’impatto delle centinaia di navi carboniere che dovrebbero portare 15.000 tonnellate di carbone ogni giorno; non è stato calcolato l’impatto sul territorio e sulla salute della radioattività del carbone né è stato descritto il sistema di smaltimento delle sostanze pericolose provenienti dai filtri e delle 500.000 tonnellate di ceneri. Inoltre non è stata valutata l’alta mortalità e morbilità della zona di Civitavecchia: il 30% sopra la media Regionale. IL Ministro Bersani nonostante queste evidenti mancanze e nonostante abbia dovuto necessariamente amettere la pericolosità dell’impianto sulla salute dei cittadini, non intende ascoltare il nostro territorio ed ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di riaprire la conferenza dei servizi. Per questo il Movimento No-Coke, e le popolazioni dell’Alto Lazio, denunciano il Ministro. Di certo i cittadini non si arrenderanno, mai. E una questione di legittima difesa. La denuncia è disponibile sul sito www.nocoketarquinia.splinder .com IMPORTANTISSIMO Vi chiediamo di aderire alla petizione on-line a sostegno di quanti di noi hanno denunciato il Ministro Bersani il quale si è rifiutato di dar seguito alle richieste delle istituzioni territoriali e dei Ministeri della salute e dell'Ambiente e dell' ARPA che comprendendo grazie agli esperti ed ai medici le gravissime malattie che causa l’utilizzo del carbone, hanno scritto al collega Bersani chiedendo di riaprire la conferenza dei servizi relativa all'autorizzazione concessa per la riconversione a carbone della centrale di Civitavecchia. . Considerato che i rilievi tecnici di merito dell' A.R.P.A. Lazio rappresentano aspetti conoscitivi nuovi e gravi forniti al Ministro dello Sviluppo Economico per procedere senza indugi al riesame dell'autorizzazione concessa ad Enel SpA con la riapertura della conferenza dei servizi per una nuova VIA E' UNA COSA DI VITALE IMPORTANZA. FIRMATE E FATE FIRMARE. INSERIRE IL LINK DELLA PETIZIONE PER CHI HA LA POSSIBILITA' NEI SITI E I BLOG Soprattutto FATE CIRCOLARE QUESTO MESSAGGIO . Per aderire alla petizione cliccare sul link: http://www.petitiononline.com/no_coke/petition-sign.html? Fonte:http://www.nocoketarquinia.splinder.com/tag/bersani

Sicilia: in discarica i rifiuti da Napoli, proteste poi tutto si rivolve

È giunta questa notte intorno all'una a Porto Empedocle la nave Ital-Roro Tri, con il carico di 1.500 tonnellate di rifiuti provenienti dalla Campania, partita ieri alle 7,15 da Napoli con destinazione riservata. Dopo al contestazione i camion sono ripartiti. Un centinaio di abitanti della zona hanno occupato con le loro auto la sede stradale nei pressi della vicina discarica, al confine tra i comuni di Montallegro, Siculiana e Cattolica Eraclea, dove sono destinati i rifiuti. Al termine di un incontro con gli amministratori comunali dei paesi interessati, che si è concluso alle sei del mattino nel municipio di Montallegro, il prefetto di Agrigento, Umberto Postiglione, ha convito i manifestanti a sospendere la protesta. I 30 camion utilizzati per il trasporto dei rifiuti rimasti fermi in banchina a Porto Empedocle stanno ora per partire verso la discarica di Siculiana. La zona è presidiata dalle forze nell'ordine. Gli amministratori comunali hanno parlato telefonicamente anche con il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, che ieri aveva annunciato l'arrivo dei rifiuti dalla Campania sottolineando che lo smaltimento sarebbe avvenuto "in condizioni di piena sicurezza ambientale per il nostro territorio". Il prefetto Postiglione che era accompagnato anche dal sindaco di Agrigento, Marco Zambuto, ha fornito in questo senso rassicurazioni ai manifestanti che chiedevano garanzie per la salute pubblica e la messa in sicurezza della discarica. Sul ponte che conduce al sito, teatro della protesta, sono rimaste solo una decina di persone che hanno chiesto di potere controllare l'arrivo dei camion da Porto Empedocle. "La situazione - ha dichiarato il prefetto - è sotto controllo. Tutto si è svolto senza incidenti, voglio ringraziare gli amministratori locali che hanno dialogato e si sono confrontati civilmente con noi e le forze dell'ordine per il loro contributo". In questo momento sono circa una settantina gli uomini impegnati nella scorta dei 30 camion carichi di rifiuti. 13/01/2008 FONTE: www.unionesarda.it

La nave dei rifiuti è sbarcata in Sicilia

Partita da Napoli con un carico di 1500 tonnellate di spazzatura, l'imbarcazione è arrivata in nottata a Porto Empedocle ed i trenta camion adibiti al trasporto si sono diretti nella discarica di Siculiana. Non sono mancati momenti di tensione AGRIGENTO - È giunta in piena notte, a Porto Empedocle, la nave Ital-Roro Tri, con un carico di 1.500 tonnellate di rifiuti provenienti dalla Campania, partita ieri mattina alle 7,15 da Napoli con destinazione riservata. Un centinaio di abitanti della zona hanno occupato con le loro auto la sede stradale nei pressi della vicina discarica, al confine tra i comuni di Montallegro, Siculiana e Cattolica Eraclea, dove sono destinati i rifiuti da smaltire. Al termine di un incontro con gli amministratori comunali dei paesi interessati, che si è concluso alle sei del mattino nel municipio di Montallegro, il prefetto di Agrigento, Umberto Postiglione, ha convinto i manifestanti a sospendere la protesta. I trenta camion utilizzati per il trasporto dei rifiuti rimasti fermi in banchina a Porto Empedocle sono partiti verso la discarica di Siculiana. La zona è naturalmente presidiata dalle forze dell'ordine. L'ultimo convoglio ha completato le operazioni di scarico intorno alle 10 di questa mattina. 13/01/2008 Fonte: La Sicilia

sabato 12 gennaio 2008

Rifiuti in Sicilia: Campania bis?

La Campania è salita agli onori della cronaca negli ultimi mesi per le montagne di rifiuti per le strade, soprattutto nelle periferie di Napoli. Adesso il governo ha deciso di dirottare circa 250 tonnellate di spazzatura in Sicilia, nell'Agrigentino. E gli amministratori non ci stanno, sono sul piede di guerra per il paventato arrivo nelle discariche di SCiacca e Siculiana di 250 tonnellate di rifiuti provenienti dalla Campania. "una città a vocazione turistica come Sciacca - ha dichiarato il primo cittadino, Mario Turturici - non può essere considerata una pattumiera. Il danno d'immagine sarebbe enorme". Quella di Sciacca sarebbe una delle circa 7 discariche individuate in Sicilia. Dalla città dei templi alza la voce Vincenzo Fontana, presidente della Provincia. "il dramma della Campania - dice - non può giustificare l'azione del governo nazionale che si ricorda della Sicilia non per destinarle risorse e infrastrutture, bensì per relegla al ruolo di pattumiera d'Italia". Ieri il sindaco di Sciacca ha inviato una lettera al premier Romano Prodi, al presidente della Regione, Cuffaro e al prefetto di Agrigento, Umbero Postiglione per attenzionare la questione. Altri siti individuati dallo Stato sarebbero le discariche di: Mazzarrà Sant'Andrea (Me), Motta Sant'Anastasia, Castellana Sicula, Augusta, Trapani e Castelvetrano. NOn si sa come andrà a finire la spinosa questione dei rifiuti, ma tutti in Sicilia sperano che la situazione non degeneri e che, soprattutto, la Sicilia non diventi il caso CAmpania 2. 12 / 01 / 2008 Chiara Ferraù Fonte: www.ecodisicilia.com

La nave della "MUNNEZZA" in arrivo in SICILIA

DA NAPOLI UNA NAVE PER LA SICILIA, CONSUMATORI: 'CLASS ACTION' - E' diretta verso la Sicilia la nave salpata alle 7,15 dal porto di Napoli, la Italro-ro Two, noleggiata dalla compagnia Snav, con un carico di rifiuti solidi urbani. Il viaggio di queste navi è circondato da un alone di riservatezza dopo le violenze che si sono verificate in occasione del primo approdo in Sardegna. Sul foglio di partenza lasciato in Capitaneria, infatti, non é scritta la destinazione ma solamente la dicitura 'per ordini'. Il segretario nazionale del Codacons e leader del Movimento Politico Consumatori Italiani Francesco Tanasi ha annunciato che "nel caso in cui parte dei rifiuti provenienti dalla Campania venisse scaricata in Sicilia", avvierà "la più importante class action dei siciliani che mai si sia vista in Italia contro il Governo regionale e quello nazionale, per il risarcimento dei danni all'ambiente e alle persone che ciò provocherà". Tanasi lancia inoltre un appello ai leader siciliani di partito, ai quali chiede di "intervenire per bloccare lo scempio ed inviare la spazzatura laddove esistono già siti di smaltimento". Fonte: www.ansa.it

mercoledì 9 gennaio 2008

BASSOLINO, SANTO SUBITO!

BASSOLINO, SANTO SUBITO!
IL BLOG DI STEFANO MONTANARI - mercoledì 09 gennaio 2008

mercoledì 2 gennaio 2008

Brescia - Diossina nel latte della Centrale

domenica 16 dicembre 2007

(red.) Una partita di latte inquinato dalla presenza di diossina superiore ai limiti consentiti dalla legge è stata individuata dai controlli effettuati prima della lavorazione nella Centrale comunale del latte di Brescia. Il prodotto era stato consegnato da tre aziende agricole dell’hinterland cittadino. La società ha avvisato i servizi medico-veterinari dell’Asl e l’Istituto zooprofilattico di via Bianchi. La spiacevole sorpresa è saltata fuori durante i controlli organolettici che il laboratorio interno della Centrale effettua sul latte ritirato nelle fattorie, che hanno fatto scoprire una concentrazione di “pop” (clorurati organici persistenti) oltre la soglia consentita. I limiti alla presenza di diossine che la legge prevede per il latte (entrati in vigore a novembre), mettono insieme per la prima volta diossine e Pcb. In ogni millilitro di prodotto, possono essere presenti al massimo 3 picogrammi (miliardesimi di milligrammo) di diossina e 3 picogrammi di Pcb e il totale non deve comunque superare i 6 picogrammi. Nella partita di latte contaminato scoperta l’altro giorno, invece, il livello era intorno ai 6,5 picogrammi. Le autorità hanno quindi bloccato l’attività nelle tre aziende agricole (una è in via Colombaie al villaggio Violino, un’altra è la Pastori di viale Bornata e la terza un’azienda di Flero), che insieme allevano circa 150 mucche da latte. Il prodotto contaminato frutto della mungitura quotiana degli animali, verrà smaltito in un impianto specializzato. Ma l’Asl ha posto sotto stretto controllo anche altre sette aziende agricole nei dintorni ed ha avviato le analisi dei terreni per controllare se vengono superati i limiti di legge nella presenza di diossine: 0,75 nanogrammi per chilogrammo sull’erba e di 10 nanogrammi per chilo nel terreno. L’ipotesi è infatti che la sostanza inquinante si trovasse nel foraggio che è stato dato alle mucche. Anche perché l’inquinamento, figlio della società malata in cui viviamo, è talmente diffuso attorno alle città che fare agricoltura o allevare animali nell’hinterland di Brescia è ormai un’attività ad altissimo rischio.

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Brescia - Diossina, è la punta dell’iceberg

martedì 18 dicembre 2007

La parola d’ordine è, come al solito in questi casi, quella di minimizzare, tranquillizzare e gettare acqua sul fuoco. Le autorità non vogliono che i cittadini di Brescia si spaventino e smettano di comprare frutta, verdura e latte dalle aziende agricole che circondano il centro urbano. Non vogliono neppure che smettano di acquistare fiduciosi i prodotti della Centrale del latte, azienda controllata dal municipio che, dopo alcune costose scelte di marketing degli anni passati (la linea di negozi, l’impianto per il latte microfiltrato, eccetera), non può certo permettersi di perdere il feeling con i consumatori della città in cui gioca in casa. Ma guardiamo i dati ufficiali che filtrano dalla comprensibile cortina di riserbo che copre in parte questa vicenda. Tre aziende agricole, tra cui la mitica Pastori di viale Bornata (le altre due sono a Flero e al villaggio Violino), si sono viste respingere il latte dalla Centrale per eccesso di diossine e dal 7 dicembre (visto che le incolpevoli 150 vacche coinvolte vanno comunque munte ogni giorno) portano il prezioso liquido alla distruzione (leggi la notizia). Altre sette aziende agricole dell’hinterland Sud tra San Zeno e Roncadelle sono sotto stretta osservazione, perché nel loro latte s’è trovata diossina, anche se non in quantità vietate dalla legge. Ringraziamo la legge, che ci permette di bere un po’ di diossina con il latte e di mangiarla con gli ortaggi, le carni e il pesce, ma non troppa. Un po’ di veleno va bene, ma a patto di non esagerare. Il limite alla presenza di pcb e diossine nel latte è fissato in 6 picogrammi (miliardesimi di milligrammo) per millilitro, mentre quello trovato nel prodotto sequestrato era tra i 6,2 e i 6,5 picogrammi per millilitro. Intanto, altro dato ufficiale, della vicenda è stata informata la Procura della Repubblica di Brescia, e l’Asl sta compiendo analisi anche sullo yogurt e il mascarpone prodotti con il latte della Centrale cittadina. Si aspetta giovedì, quando dall’Istituto zooprofilattico arriveranno i risultati di analisi più approfondite. Ma c’è davvero bisogno di aspettare per sapere quello che è sotto gli occhi di tutti? La diossina si forma in ogni combustione in cui è presente anche cloro (per esempio bruciare la plastica, fondere metalli con vernici e così via) ed è una sostanza molto stabile: ci vogliono decine di anni perchè scompaia dai terreni contaminati. Nel tessuto adiposo della gente, poi, rimane per sempre. Dalle ciminiere passa al terreno, da qui all’erba, dal foraggio al grasso delle mucche e al loro latte, dagli animali arriva all’uomo. La sua caratteristica peggiore è che ad ogni passaggio della catena alimentare si concentra sempre di più. La diossina, riconosciuta come elemento cancrogeno dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul cancro, è quindi intorno e dentro di noi. Perfino, come è provato, nel latte materno. Guardiamoci attorno, lasciando pure perdere l’area a sud della Caffaro dove il Pcb scorre letteralmente a fiumi, e contiamo le decine di ciminiere che circondano Brescia. Dispiace per gli incolpevoli allevatori dell’hinterland, dispiace per i bilanci della Centrale del latte, ma non c’è bisogno di aspettare altre analisi per capire che evidentemente esiste un enorme problema di qualità dell’approvvigionamento, dovuto alla degenerazione dell’ambiente della nostra città assediata dai veleni. Che cosa fare allora? Poco, ma qualcosa è possibile: prima di tutto aumentare i controlli. Essendo Brescia evidentemente una zona a rischio, siamo in piena emergenza ambientale. L’Arpa, l’azienda regionale alla quale sono demandate le verifiche, dovrebbe incrementare il numero delle centraline di monitoraggio ed effettuare controlli a sorpresa. Stesso discorso per gli alimenti da parte dell’Asl. E poi bisogna usare tutti gli strumenti previsti dalla legge per reprimere e colpire gli inquinatori. Anche quando sono in gioco i posti di lavoro, perché la salute pubblica deve venire prima di tutto.

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Brescia - Latte al Pcb: è vera emergenza

venerdì 28 dicembre 2007

(red.) Il latte prodotto da altre due stalle che operano nella zona a Sud della città è risultato positivo al Pcb in base agli esami interni effettuati sul prodotto conferito alla Centrale comunale del latte di Brescia. Si tratta delle aziende agricole Civettini e Zubani, due allevamenti situati nel comune di San Zeno. Dopo il caso di tre aziende agricole il cui prodotto è stato bloccato il 7 dicembre scorso (una di Flero, la Bettinzoli del Violino e la Pastori di viale Bornata, leggi qui), quella legata al latte contaminato dai veleni si sta dimostrando una vera e propria emergenza ambientale per la città di Brescia e per i suoi immediati dintorni (leggi il commento). Anche se bisogna segnalare che, alle controanalisi, l’allevamento Ancelotti di Flero è risultato sotto la soglia stabilita dalla legge.

Il limite massimo previsto per la presenza di Pcb e diossine nel latte è di 6 picogrammi (miliardesimi di milligrammo) per millilitro. Nel prodotto dei due allevamenti di San Zeno Naviglio ne sono stati rilevati quantitativi in un caso pari a 6,5 picogrammi e nell’altro superiori agli 8 picogrammi. Da qui il blocco deciso dall’Asl che, dopo il ritrovamento di valori elevati di Pcb nei foraggi e nel latte di una stalla delle Fornaci, fin dallo scorso settembre aveva ordinato esami dettagliati sul latte munto anche in altre stalle dei dintorni. Peraltro l’Azienda sanitaria bresciana sa benissimo che la città è circondata dai veleni. Dai campionamenti effettuati nel 1994, nel 1996 e nel 1998 risulta che in diverse aree dell’hinterland (come al Villaggio Violino, zona sud occidentale) la quantità di Pcb per chilo di terra è molto elevata: anche fino a 30 microgrammi per chilo contro un limite di 10 nanogrammi. E’ quindi presumibile che i foraggi coltivati su quei terreni possano essere contaminati: il massimo previsto dalla legge è di 0,75 nanogrammi di Pcb per chilogrammo d’erba. Dal foraggio con diossina al latte inquinato il passo è breve e praticamente scontato.

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Brescia - Pcb: inquinati 500 ettari di città

venerdì 28 dicembre 2007

(red.) E’ ormai enorme la fetta di città contaminata da diossine e Pcb che viene quindi sottoposta a una serie di ordinanze restrittive emesse oggi dal comune di Brescia. Il sito d’interesse nazionale Caffaro si estende da via Milano verso sud-ovest, ma ora la zona tutelata si è allargata fino a raggiungere i confini del comune Castel Mella. Nella pratica, l’area posta sotto la tutela del ministero dell’Ambiente per le elevatissime concentrazioni di Pcb è rimasta la stessa. Nella sostanza, però, il comune di Brescia ha ritenuto opportuno estendere una serie di divieti anche ad un’altra porzione di città, visto che gli inquinanti, attraverso le rogge idriche, sono stati trasportati e si sono sparsi per centinaia di ettari. Dunque il tratto di Brescia che da sud di via Milano raggiunge i confini di Castel Mella; e che da via Industriale, via Dalmazia, via Labirinto e via Fornaci arriva fino agli argini del fiume Mella diventa un’unica zona omogenea considerata altamente e pericolosamente inquinata, estesa per circa 500 ettari. Visto che 1 ettaro equivale a 10 mila metri quadrati, stiamo parlando di un’area di circa 5 milioni di metri quadrati, cioè 5 chilometri quadrati dove abitano 10 mila persone. Per capirci, la città del Vaticano è grande circa 44 ettari. Il comune di Brescia è in tutto pari a 90,6 chilometri quadrati. Fino al 30 giugno 2008, in tutta quest’area a sud dell’industria chimica Caffaro contaminata da Pcb e diossine vengono prorogati i divieti già contenuti in precedenti ordinanze emesse nel 2002, 2004 e giugno 2007. Sarà vietato l’utilizzo del terreno, quindi nessuna coltivazione, ma neppure l’aratura e il dissodamento, l’asportazione, lo scavo o qualsiasi altra operazione che comporti il contatto diretto con la terra o l’inalamento delle polveri da essa provenienti. Viene vietato anche l’utilizzo dell’acqua fluente nelle rogge, la curagione dell’alveo dei fossati e, ovviamente, la pesca dai corsi d’acqua. Ma non è finita qui, perchè non sarà possibile nemmeno allevare animali da cortile destinati all’alimentazione umana (sono vietate anche le uova), così come non sarà permesso coltivare ortaggi. E’ concessa una deroga, in quest’ambito, nei terreni agricoli situati nella zona di via Labirinto e via Fornaci. Qui, infatti, sarà concessa in via sperimentale la coltivazione di frumento, mais, orzo e graminacee per la produzione di sola granella, a patto che prima di qualsiasi uso il raccolto venga sottoposto ad analisi chimica con ricerca di Pcb e diossine, volta a confermare l’assenza di contaminazione. Come noto, dopo il via libera ministeriale e la messa in mora della Caffaro (leggi qui), partirà nel marzo 2008 la bonifica dei 17 mila metri quadrati di terreno del parco Passo Gavia e del giardino di via Nullo, inoltre si interverrà su 26 giardini privati del quartiere Primo Maggio (finora ne sono stati messi in sicurezza tre). Il Comune su tre lotti da 5 ettari di terreni agricoli del sito nazionale Caffaro sperimenterà la bioremediation, una tecnica che usa batteri in grado di aggredire e digerire le sostanze inquinanti. Sul resto saranno piantati alberi ed erba sperando che in parte assorbano Pcb e diossine.

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Brescia - Pcb, è ora di intervenire davvero

venerdì 28 dicembre 2007

(red.) Castenedolo, Flero, San Zeno, Castel Mella, Roncadelle. Citiamo questi cinque comuni tra i tanti che fanno parte della cosiddetta “prima corona”, composta dalle località immediatamente confinanti con Brescia, perché sono quelli situati a Sud. E’ a Sud della città infatti che - stando a quanto risulta per il momento - si trova la maggiore concentrazione di Pcb e diossine sparsa negli anni sul nostro territorio dalle ciminiere, oppure messa in circolo dagli scarichi industriali come nella zona Caffaro e portata in giro dalle rogge usate (pensate!) per l’irrigazione dei campi. E’ a Sud della città che hanno resistito più a lungo le estensioni di terreni agricoli: da lì arrivavano il nostro latte, la nostra carne, le uova e i polli “nostrani” che finivano sulle tavole dei bresciani. Da lì arriva, quindi, il veleno che per anni abbiamo inconsapevolmente ingerito. Strano che agli amministratori che governano questi cinque comuni non venga un dubbio, che non gli sorga spontaneo un interrogativo, che non gli si accenda un segnale d’allarme. Sicuramente è già avvenuto, ma se non è successo vogliamo metterglielo noi allora un piccolo tarlo nella testa. Signori, pensate davvero che il vostro comune sia immune dai veleni? Ve lo diciamo noi: no, non è possibile, perché il Pcb non si è fermato ai confini municipali della città capoluogo, ma sicuramente è sceso ben oltre. Ecco perché anche voi dovete coordinarvi e intervenire. Non fate come quegli amministratori che prima parlano di emergenza, (ma “senza allarmismi”, naturalmente) e poi allargano sconsolati le braccia: che cosa volete farci, dicono, sono gli effetti di anni e anni di industrializzazione. Già, che cosa vogliamo farci più che morire precocemente di infarto o di tumore? Più che respirare a fatica e farci venire il fiato corto dopo dieci passi? Più che vedere i nostri bambini tossire sempre di più ad ogni inverno e deperire troppo presto? E’ vero che è troppo tardi, ma forse qualcosa si può ancora fare. Prima di tutto evitare il rimpallo delle responsabilità. E poi andare oltre le (sacrosante) ordinanze che bloccano le attività nella aree pericolose. Un comune (e una provincia) ad alto rischio d’inquinamento, per esempio, se fossero seri prenderebbero in mano la situazione e non demanderebbero le verifiche soltanto all’Arpa, l’agenzia regionale per l’ambiente deputata a sorvegliare aria, terra e acqua. E neppure all’Asl, che deve controllare i cibi e la salute delle persone. Un comune (e una provincia) ad alto rischio d’inquinamento se fossero seri, sapendo che si tratta di un’emergenza terribile per i loro amministrati e in generale per la salute pubblica, vorrebbero vederci molto più chiaro e molto più in fretta. E allora perché nascondersi dietro le lentezze o le responsabilità altrui, sapendo benissimo che l’Arpa e l’Asl mancano di fondi, che a volte hanno tempi di reazione biblici e che comunque sono organismi competenti ma burocratici? E’ vero, le analisi e le verifiche costano, ma noi pensiamo - per esempio - che i nostri enti locali abbiano i bilanci sani e possano permettersi di installare una manciata di centraline sul proprio territorio o di creare una squadra per fare i prelievi nei posti giusti e poi farli analizzare a pagamento in qualche laboratorio privato. Conoscere bene la realtà è la prima cosa da fare per poi capire come affrontarla e aiuta anche a trovare i responsabili della devastazione ambientale. Perché con i dati in mano è possibile attivare la magistratura. Secondo noi, se un comune (e una provincia) ad alto rischio d’inquinamento non lo fanno, vuol dire che non vogliono farlo. E allora qualcuno dovrebbe spiegarci perché.

Fonte:www.quiBrescia.it

martedì 1 gennaio 2008

Auguri Veraci

Auguri di Buon Natale da un Siciliano "VERACE": Fofò Purtusu Per vedere il video clicca qui
Dire non basta, poiché le parole che non si traducono in azione " sono portatrici di pestilenza"
William Blake