venerdì 3 agosto 2007

AMMAZZARSI DI LAVORO.

Fabbrica assassina, l'Ilva uccide ancora
Un operaio di 26 anni perde la vita schiacciato dai tubi nell'azienda di Taranto. Solo ieri in Puglia quattro morti sul lavoro. La Fiom attacca: «Non è più tempo di parole vuote»
Aveva 26 anni anni, Domenico Occhinegro, l'operaio morto ieri nell'ennesimo infortunio mortale all'Ilva di Taranto. Dell'azienda Domenico era dipendente da tre anni, lavorava sodo da quando gli era stata promessa una piccola promozione, raccontano alcuni colleghi, e si sarebbe dovuto sposare il mese prossimo. E' rimasto schiacciato tra due tubi nella tarda serata martedì scorso, poco prima di finire il suo turno di lavoro. E ieri in Puglia altri tre lavoratori sono morti sul lavoro. Andrea Sindaco, 33 anni, travolto dal braccio di una pompa di calcestruzzo a Otranto. Cosimo Perrini, 60 anni, precipitato da un cantiere edile a Taranto, e Francesco P., 42 anni, investito da un piccolo trattore cingolato guidato dal figlio di 16 anni in un'azienda casearia a conduzione familiare a Copertino, in provincia di Lecce. Un vero e proprio bollettino di guerra quello delle morti sul lavoro, una piaga che cova nei meandri di un lavoro sempre più frammentato e frantumato. Quattro morti in Puglia soltanto ieri, altri quattro nel paese ieri l'altro (e sono, naturalmente, soltanto quelli che ricevono l'onore della cronaca). «Non siamo all'ultimo incidente» è la palpabile esasperazione di Mimmo Pantaleo, segretario pugliese della Cgil, nel commentare l'infortunio mortale dell'Ilva. Come dargli torto? Nell'ormai famigerato «Tubificio 2», quello di Domenico Occhinegro è il terzo incidente mortale in due anni, e non si contano gli infortuni gravi. Della dinamica dell'incidente che ha ucciso Domenico, e che non ha avuto testimoni, poco ancora si sa. Uno sciopero immediato di 24 ore è stato proclamato dalle Rsu dell'azienda, mentre la Fiom nazionale ha annunciato la possibilità di costituirsi parte civile nel procedimento giudiziario. Due inchieste sono state aperte, dalla Procura e dall'ispettorato provinciale del lavoro. Di certo si sa che Domenico, pur se giovane, non era un novizio. Assunto a tempo indeterminato tre anni fa, dopo un biennio di formazione lavoro, stava sostituendo un collega in ferie, al macchinario «cut off» dove vengono corrette le imperfezioni dei tubi di acciaio già prodotti. Dice l'azienda che Domenico si trovava, al momento dell'incidente, in una zona del reparto interdetta al passaggio degli operai. Ma padron Riva non ha mai fatto mistero della sua etica. «Confidenza, noncuranza», una certa sventatezza e negligenza dei lavoratori per farla breve, sarebbero le cause più frequenti degli infortuni che l'Ilva macina con un ritmo che fa il paio perfetto con la crescita dei profitti. L'impianto su cui lavorava Domenico è lo stesso rimasto fermo nei mesi scorsi per oltre quaranta giorni, a causa di un incendio. «Questo ha indotto la direzione a fare pressione sui lavoratori per incrementare la produzione» spiega Patrizio Di Pietro dell'esecutivo Fiom all'Ilva. E' possibile che l'operazione del macchinario non sia riuscita bene, e che Domenico abbia tentato di intervenire manualmente, spostandosi così nella zona interdetta al passaggio, forse scivolando, e così restando intrappolato sotto un tubo di sei tonnellate. Ma una quarantina di morti dal 1993 a oggi, sei morti (di cui quattro dipendenti delle ditte di appalto) e decine di feriti solo negli ultimi due anni - secondo i dati diffusi ieri dalla Uilm di Taranto - lasciano sbigottito soltanto chi all'Ilva non ci lavora. «Non è più tempo di parole - dice Franco Fiusco, segretario della Fiom - La sicurezza non può essere una definizione fine a se stessa, ma un insieme di interventi concreti in cui anche le istituzioni sono chiamate a fare la loro parte». In causa c'è la costituzione del Nucleo integrato per la sicurezza (l'organismo composto da una serie di enti preposti alla sicurezza con libero accesso in azienda) su cui ieri si è svolto un incontro in prefettura a Taranto: l'accordo è stato firmato un paio di mesi fa, ma l'ostruzionismo dell'azienda non ha permesso ancora di renderlo operativo. Anche l'atto di intesa siglato lo scorso anno tra azienda e istituzioni e mirato alle questioni della sicurezza (anche ambientale), sul lavoro non produce risultati. «La Regione Puglia è pronta a denunciare il protocollo d'intesa con la nostra più grande azienda» ha dichiarato ieri Niki Vendola, presidente della Regione. Organici minimizzati, carichi di lavoro esasperati, scarsa formazione del personale in un processo produttivo complesso e faticoso, impianti non ammodernati, relazioni sindacali al minimo, il profitto come regolatore unico e assoluto dei processi. Questa è l'Ilva raccontata da chi ci lavora. La stessa azienda in cui gli utili sono saliti del 44% l'anno scorso, con un fatturato consolidato vicino ai 10 miliardi. La stessa azienda dove persino fermarsi a bere acqua (in reparti dove le temperature superano i 50 gradi) è una conquista.
SARA FAROLFI ( IL MANIFESTO 02/08/2007)

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William Blake